S.I.M. Sistema Idroelettrico Minerario

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Per Sistema Idroelettrico Minerario si intende quell’insieme di beni nati per la produzione di energia idroelettrica e la derivazione mineraria in media Valle Camonica. Sono beni architettonici ma non solo: ci sono strade e sentieri, un paesaggio profondamente trasformato e beni immateriali come le testimonianze di chi in questi siti ha lavorato.

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Le origini dello sfruttamento minerario dell’area di Carona non sono identificabili. Se le fonti scritte attestano, dalla metà del Seicento, escavazioni di minerale ferroso e scoperte di rame in alcune località del territorio di Sellero, riferimenti alla località di Carona si hanno solo a partire dall’Ottocento, in concomitanza con l’avvio di un più intenso sfruttamento delle risorse minerarie e una maggiore regolazione legislativa.
Nel corso del 1803-04 il canonico di Malonno Don Francesco Cattaneo, appassionato di mineralogia e appartenente ad una famiglia con interessi nelle locali miniere, si adoperò per il riconoscimento di un filone di solfato di magnesia (sale amaro) nei pressi di Carona. Qui individuò la presenza di rame, ferro, terre di vari colori e solfato di zinco nonché tracce di antiche escavazioni di minerale ferroso. La scoperta del curativo “sal Cattaneo” non ebbe però lo sviluppo sperato: nella rilevazione del 1809 la miniera risultava già inattiva da due anni. Stessa sorte, sempre a Carona, per una piccola miniera di ferro in licenza a Alberto Pacchiotti e Giovanni Lanfranchi. Alla fine del primo decennio dell’Ottocento si attestano, nel territorio di Sellero, anche altre quattro miniere ferrifere tre delle quali dichiarate attive. Le notizie scarse e non sempre attendibili rilevabili dalla documentazione ottocentesca, lasciano comunque intravedere una situazione di sfruttamento alquanto limitata se non nulla, anche quando nel 1873 Giò Andrea Gregorini ottenne, per due anni, un permesso di ricerca di minerale ferroso a Carona.
La fortuna del sito di Carona, che ne determinò il più intenso sfruttamento, è legata alla scoperta della blenda di zinco. Nel 1908 Pietro Curletti, “titolare da alcuni anni di un permesso di ricerca di minerali di zinco, piombo e piriti di ferro e rame, denominato Carona”, ottenne la concessione per l’esportazione di 700 t di blenda ricavate dai lavori di indagine. L’anno successivo venne ufficializzata la scoperta della miniera e nel dicembre del 1911, nonostante il ricorso del Comune di Sellero, venne accordata la concessione per una superficie di circa 387 ettari compresa nei comuni di Sellero e Berzo Demo. Nell’arco di pochi anni si era proceduto all’escavazione di tre gallerie. La prima, denominata Curletti, a circa 887 m.s.l.m poco sotto gli imbocchi degli scavi più antichi e lunga 300 m, permise di ottenere della blenda con una ottimo tenore di zinco. Lo spoglio della lente ricca avvenne coltivando per sbassamento la parte sottostante della galleria, obbligando a sollevare il minerale al piano mediante benne. A quota 837 m.s.l.m venne escavata la galleria denominata Cavalletti per una lunghezza di 140 m e a quota 787 m.s.l.m il ribasso Mezzena scavato per una lunghezza di 250 m.
Dopo l’intensa attività dei primi anni, alla vigilia della prima guerra mondiale la miniera risultava inattiva. Nel 1923, con il subentro della società Montecatini, si registrò la ripresa di uno sfruttamento sistematico del sito. La società milanese, con l’intento di utilizzare sia la blenda che la pirite, nel 1926 acquisì la proprietà della miniera dall’ Ing. Paolo Cavalletti e da Enrico Malaguti, eredi della concessione di Carona dopo la morte di Curletti nel 1913.
La Montecatini si adoperò per attivare un più economico ed efficace lavoro di ricerca, estrazione e movimentazione del materiale. Aprì alcuni piazzali lungo il pendio della montagna ed eresse alcuni fabbricati di servizio. L’energia elettrica, proveniente dalla centrale SEB di Cedegolo, alimentava l’argano per lo spostamento dei vagoni lungo il piano inclinato e un impianto di spezzamento meccanico realizzato nel piazzale a quota 800 m.s.l.m. Qui giungevano i vagonetti carichi di materiale che venivano svuotati nelle tramogge. Il minerale veniva successivamente frantumato meccanicamente, vagliato e lavato da manodopera femminile per poi essere insaccato e trasportato con carri a valle. La Montecatini riprese i lavori di indagine ed escavazione tra il livello Curletti e Cavalletti con numerosi saggi di scavo laterali e mettendo in comunicazione tramite fornelli le gallerie. Senza importanti risultati venne esplorata anche la zona tra il livello Cavalletti e Mezzena dove venne scavata una galleria di una decina di metri e un saggio di indagine.
Dopo solo un quinquennio la società Montecatini avanzò richiesta di sospensione dell’attività mineraria. L’abbassamento del valore dello zinco a fronte degli alti costi di trasporto e la mancata scoperta di nuove mineralizzazioni fecero dichiarare alla società antieconomico lo sfruttamento della miniera anche ipotizzando di investire in una teleferica e in una laveria a Cedegolo che avrebbero abbassato le spese di trasporto e al trattamento del minerale. Nel 1928 si conclusero quindi i lavori di estrazione e dopo un periodo in cui furono smaltite le scorte si concluse l’attività lavorativa. Nel 1951 la Montecatini rinunciò definitivamente alla concessione mineraria di Carona e chiese un permesso di ricerca per minerale di zinco, pirite e solfuri vari che non portò però alla ripresa dell’attività mineraria.
Nel 2003 il sito minerario, di proprietà del Comune di Sellero, rientra in un piano nazionale di recupero e bonifica delle aree minerarie che ha consentito la ristrutturazione degli edifici di servizio del sito.

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Data costruzione: 1939-1941 circa.
I forni per la produzione della calce di Sellero, costruiti nei primi anni Quaranta del Novecento, sono l’ultima testimonianza architettonica del sito produttivo che la SEFE  “Società Esercizio Forni Elettrici” eresse nella piana della Scianica. 
La SEFE si stanziò a Sellero nella metà degli anni Venti quando, rilevando un preesistente impianto per la produzione della ghisa (della “Società Elettro Metallurgica di Val Camonica G. Murachelli e C.”, attivo dal 1916) avviò la produzione del carburo di calcio. Ottenuto trattando al forno elettrico carbone coke e calce viva (acquistata da terzi fino alla costruzione delle fornaci), il carburo, che a contatto con l’acqua sprigiona gas acetilene, era impiegato principalmente per l’illuminazione e per saldatura dei metalli.
L’andamento industriale della fabbrica fu da subito strettamente legato alla fornitura di energia elettrica di “supero” che determinò la stagionalità della produzione, in concomitanza con l’eccedenza, e quindi il minor costo, dell’energia elettrica prodotta nel vicino impianto di Cedegolo della “Società Generale Elettrica dell’Adamello” (poi “Soc. Elettrica Cisalpina”, poi “Edison”, poi ENEL).
La disponibilità di energia elettrica e, prima, di forza idraulica, unite alle favorevoli condizioni ambientali (terreno piano) e infrastrutturali (la strada nazionale del Tonale e il completamento nel 1909 della linea ferroviaria Brescia-Iseo-Edolo) furono del resto fattori determinanti nello sviluppo produttivo dell’area della Scianica. Un sistema di canalizzazione delle acque aveva portato allo stanziamento di attività artigianali che sfruttavano l’energia idraulica prodotta. Negli ultimi anni dell’Ottocento la ditta Zitti-Gregorini avviò un impianto per la distillazione dal legno di carbone, acido piro-legnoso e alcol metilico, ma le difficoltà, legate al trasporto delle merci, non permisero il decollo dell’industria. Fu Giovanni Murachelli, già alla direzione tecnica della Gregorini di Lovere, a rilevare gli impianti e a dare avvio allo sviluppo industriale dell’area sfruttando il buon prezzo dell’energia elettrica e il favore delle commesse militari.
Nel 1937, dopo una breve parentesi di compartecipazione societaria nella “Società elettro-siderurgica di Valle Camonica” SELVA, che portò per un quinquennio anche la produzione di acciaio inossidabile negli stabilimenti della SEFE, la messa in funzione dei nuovi impianti per la produzione della calciocianamide (un fertilizzante ottenuto dall’azotazione del carburo) garantì un nuovo sbocco commerciale. Il potenziamento industriale culminò con la costruzione dei tre forni per la produzione della calce e l’acquisizione di una cava di calcare che permisero alla SEFE di disporre dell’intero ciclo di produzione.
Il calcare estratto dalla cava “Doil”, situata ai piedi della Concarena, tramite una teleferica di circa 5 km raggiungeva l’area delle fornaci. Con l’utilizzo di un montacarichi il calcare e il carbone coke venivano portati in cima all’impianto, a circa 30 metri d’altezza, dove i forni venivano alimentati a ciclo continuo. Terminato il processo di cottura, la calce prodotta veniva scaricata, vagliata, frantumata e immessa, con un elevatore a tazze, sul nastro trasportatore sopraelevato, ancora esistente, che permetteva l’attraversamento della strada e della linea ferroviaria, garantendo il congiungimento diretto con il resto dello stabilimento dove la calce veniva utilizzata per la produzione al forno elettrico del carburo.
Se la disponibilità e il basso costo dell’energia elettrica avevano determinato la nascita e lo sviluppo di quest’industria elettrochimica, i cambiamenti che si rilevarono in tal senso a partire dal Secondo dopoguerra, uniti alla concorrenza al ribasso dei prezzi di vendita della calciocianamide e agli sviluppi che conobbe il settore dei concimi chimici, segnarono  l’inizio di un irreversibile declino che portò, nella seconda metà degli anni Sessanta, alla fine della produzione e alla chiusura dello stabilimento.
Nel 1970 si stanziò, nell’area dove sorgevano gli impianti per la produzione di carburo e calciocianamide, la “Fucinati s.p.a” (gruppo Tassara) che produsse ferroleghe fino alla metà degli anni Novanta. I forni per la cottura del calcare, dopo una brevissima parentesi di produzione ad opera di terzi, furono abbandonati e successivamente l’area fu ceduta al Comune di Sellero.
Ad esclusione delle fornaci da calce, della passerella-nastro trasportatore e di alcuni immobili di servizio, nel 2001 gli storici edifici produttivi furono demoliti e nell’area sono sorti dei nuovi capannoni con destinazione produttiva e commerciale.
Le fornaci da calce, grazie al restauro ad opera del Comune di Sellero, sono sede dal 2012 del Centro 3T, un progetto ideato e gestito dall’Associazione P.I.R. Post industriale per una nuova ruralità.

Anno di costruzione: 1909-1910
Progettista: ing. Egidio Dabbeni (1873-1964)
Fine esercizio: 1962

L’energia idroelettrica è alla base dell’industrializzazione italiana e trova in Valle Camonica una delle sue fonti principali sin dai primi anni del Novecento, quando la “corsa all’oro bianco” spinse grandi industriali a contendersi i diritti di derivazione, cioè di utilizzo a fini commerciali dei molti corsi d’acqua della valle.
Fondata nel 1905 a Brescia, la SEB, una delle principali società idroelettriche dell’epoca, ottenne l’autorizzazione a derivare le acque del fiume Oglio presso Malonno nell’ottobre del 1908, dopo non poche controversie. Le comunità interessate dall’opera, infatti, oltre al forte impatto delle opere strutturali sul territorio, avevano rimarcato che la derivazione idrica avrebbe alterato la disponibilità delle acque utilizzate per le attività artigianali e agro-pastorali. Risarcimenti, indennizzi, accordi per forniture gratuite di energia elettrica uniti alle promesse, rimaste inevase, di costruzione e sviluppo di stabilimenti industriali sul territorio, portarono all’accettazione del progetto da parte delle comunità locali e all’approvazione della richiesta da parte dell’autorità competente.
La centrale di Cedegolo, realizzata per sfruttare le acque di questa derivazione, fu costruita nel 1909-1910. Una caratteristica della centrale è di trovarsi in un contesto urbano e non, come la maggior parte delle centrali idroelettriche, in valli laterali o in alta montagna. Tale collocazione fu determinata dal luogo della derivazione e dalla necessità di sfruttare la caduta d’acqua in un punto favorevole: le acque, convogliate nella vasca di carico mediante un canale di 8 chilometri,  entravano nella sottostante centrale attraverso due condotte forzate, dopo un “salto” di quasi cento metri.
L’edificio è opera di Egidio Dabbeni, ingegnere con specializzazione in architettura attivo quasi esclusivamente nel contesto bresciano, ma in rapporto diretto con la migliore cultura architettonica del suo tempo. La costruzione si inserisce nel filone della prima architettura moderna per l’uso precocissimo del cemento armato (invenzione di fine Ottocento che ebbe in Dabbeni uno dei primi esperti su scala europea), per la geometria rigorosa della struttura e per la chiara corrispondenza tra spazi e funzione: la trasformazione e la distribuzione nei quattro piani del volume lato strada, la produzione nel corpo lato fiume, servizi e manutenzione nella torre, di alcuni anni successiva, agganciata ortogonalmente alla sala macchine. Tale distribuzione funzionale fu determinata dal luogo di ingresso delle condotte forzate, che impose di collocare sul lato fiume i quattro gruppi generatori turbina-alternatore e il canale di scarico che, raccogliendo il deflusso, lo restituiva al fiume dopo aver percorso longitudinalmente tutto il fabbricato.
L’esercizio della centrale risultò drasticamente ridotto a partire dal 1950, allorché con l’entrata in servizio della centrale Cedegolo II fu ultimata la derivazione Sonico-Cedegolo. La derivazione del nuovo impianto era collocata a monte della presa SEB di Malonno e ciò ridusse il bacino imbrifero utilizzato dalla centrale SEB da 548 a soli 28 kmq.
Nel giugno 1962, data la vetustà deimacchinari, la centrale venne messa fuori servizio e nel dicembre dello stesso anno, con la nazionalizzazione del settore elettrico e l’assorbimento della SEB, la proprietà passò all’ENEL. Due anni più tardi si procedette allo smantellamento dei macchinari e i locali vennero utilizzati come magazzino di deposito.
Nel settembre 2000 il Comune di Cedegolo acquistò il fabbricato da una società del Gruppo Enel allo scopo di realizzarvi un museo dedicato all’energia idroelettrica. Dopo i lavori di restauro e allestimento, nel 2008 venne inaugurato il Museo dell’energia idroelettrica di Valle Camonica, sezione del Museo dell’Industria e del Lavoro di Brescia. L’esposizione racconta il percorso dell’acqua, dal suo formarsi nell’atmosfera al suo precipitare sullaterra, dal suo condensarsi in ghiaccio al suo raccogliersi nei laghi alpini, dal suo imbrigliamento in dighe artificiali sino all’arrivo nella centrale idroelettrica, dove si trasforma in elettricità attraverso una filiera tecnico-scientifica, rappresentata da macchinari d’epoca di grande impatto. La comunicazione dei contenuti scientifici avviene in dialogo con reperti tecnologici carichi di storia, mentre testimonianze di lavoratori, tecnici, gente comune, fanno da controcanto a filmati che esaltano, con la maestria di un Ermanno Olmi, gli anonimi protagonisti della costruzione dei grandi impianti idroelettrici alpini. Successivi interventi, resi possibili da fondi europei e dal progetto SIM (Sistema Idroelettrico Minerario) sostenuto da Fondazione Cariplo, hanno consentito di dotare il museo di nuovi spazi espositivi con l’allestimento della grande piattaforma sospesa nella ex sala macchine e al terzo piano dell’edificio, mentre il recupero del vasto sotterraneo è dedicato alla rievocazione del mondo delle miniere e dei lavori in galleria, che per secoli, e sino ad oggi, hanno caratterizzato la storia sociale ed economica della Valle Camonica.

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Località RUC, Novelle di Sellero.

La vasca di carico era parte dell’impianto di derivazione delle acque Malonno-Cedegolo costruito dalla “Società Elettrica Bresciana” (SEB) nel 1909-1910 per generare energia elettrica nella sottostante centrale di Cedegolo. Le acque del fiume Oglio, captate a Malonno con un’ imponente opera di presa, dopo un percorso di circa 8 km attraverso un canale in muratura, giungevano alla vasca di carico. Qui l’acqua s’immetteva nei tubi della condotta forzata e con un salto di 92 metri alimentava le turbine della centrale.
La vasca di carico di forma trapezoidale – con una lunghezza di circa 100 metri, una  larghezza massima di 12 e una profondità media di 3.50 metri – aveva una capacità utile di circa 2000 metri cubi. Lungo il lato obliquo era posto lo sfioratore lungo 34 metri e in grado di smaltire la portata massima pari 10 mc/s. L’ acqua in eccesso tracimante dallo sfioratore veniva raccolta in un canalone a forte pendenza e avviata al pozzetto di imbocco del tubo di scarico. Due paratoie della larghezza di 1.20 metri permettevano, con la loro manovra, lo svuotamento e lo spurgo della vasca immettendo anch’esse, con uno scivolone di raccordo, nel pozzetto d’imbocco del tubo scaricatore.
L’ imbocco dei tubi della condotta forzata era al fondo di un pozzo unico, soprelevato sul fondo della vasca di 50 cm e protetto da una griglia (con un fronte di m 5,70 ed una larghezza di m. 2.50) per impedire l’ingresso delle ghiaie. Nella parte inferiore del pozzo, protetto da paratoie manovrabili dall’interno del fabbricato che lo ricopre, imboccavano i due tubi della condotta forzata ( costituiti da lamiera chiodata, con un diametro iniziale di metri 1.70 che si riduce a 1.50 appena fuori dal muro, erano lunghi 194 metri per un peso di circa 170 tonnellate). Le condotte forzate, adagiate sulla mezza costa rocciosa, appoggiavano sopra colonnotti in muratura coll’interposizione di selle di appoggio. Nella parte inferiore le tubazioni, sospese e aumentate di spessore, attraversavano il fiume Oglio mantenendo l’inclinazione della montagna e senza bisogno di sostegni speciali. Ciascuna conduttura era dotata di tre aperture (passi d’uomo) per permettere l’accesso degli addetti alla manutenzione e di un tubo di sicurezza verticale, installato nella parte superiore, per consentire lo sfiato dell’aria e impedire la formazione del vuoto.
Lo scarico della vasca era costituito da un tubo di circa 160 metri. Situato parallelamente e in maniera analoga alla tubazione principale (diametro di 1.5 metri per i primi 28 metri e di 1 metro per i rimanenti). Per evitare la messa in pressione e per  attenuare la velocità dell’acqua, alla estremità inferiore il tubo si diramava in tre parti che sboccavano in un pozzetto. Da qui l’acqua, scaricata attraverso un ciglio sfiorante lungo 10 metri, si riversava direttamente nell’Oglio. Lateralmente un’incisione impediva che a scarico inattivo i tubi fossero immersi nell’acqua e col gelo si ostruissero le bocche di efflusso. Una piccola apertura, munita di paratoia, permetteva infine lo svuotamento e lo spurgo del pozzetto.
Con la disposizione della centrale al di là del fiume era eliminato il pericolo in caso di rottura delle tubazioni. L’acqua si sarebbe riversata nell’Oglio, lungo la parete rocciosa, senza produrre alcun danno.
E’ di successiva costruzione l’impianto di depurazione delle acque destinate al sistema di raffreddamento degli impianti della centrale idroelettrica. Il piccolo fabbricato, eretto nello spazio compreso tra le condotte forzate e il tubo di scarico, copriva una vasca munita di griglia nella quale veniva immessa l’acqua che, dopo un processo di purificazione con carbone vegetale, veniva convogliata con apposita tubazione alla sottostante centrale.
Con la dismissione nel 1962 dell’impianto Malonno-Cedegolo, l’opera idraulica venne abbandonata, fino a quando nel 2012 il Comune di Sellero si dedicò ai lavori di recupero che portarono il sito allo stato attuale. La vasca, riempita di terra, diviene terreno calpestabile con attrezzature ricreative. I manufatti vengano restaurati e si è provveduto alla ricostruzione di alcuni componenti mancanti (paratoie e griglie) verosimili a quelle originali.

LE OPERE E IL PERCORSO DI DERIVAZIONE MALONNO-CEDEGOLO.
Progetto Ing. Ernesto Mangiarotta

L’impianto Malonno-Cedegolo della SEB utilizzava l’acqua del fiume Oglio. L’opera di presa, in parte ancora conservata, era collocata a circa 300 m a monte del ponte delle Capre nel Comune di Malonno. Si componeva di una diga tracimabile, di due bocche di presa munite di quattro paratoie e di uno sghiaiatore per regolare la quantità d’acqua immessa nel canale. Dalle bocche di presa l’acqua veniva convogliata nel canale derivatore in questo tratto dotato di una sezione molto più vasta della normale e di uno sfioratore. A circa 200 m dalla presa, si trovava la prima vasca di sedimento per moderare la velocità dell’acqua nel canale e per facilitare il deposito delle materie portate nel periodo di piena. Nella vasca veniva inoltre immessa, mediante un impianto elevatore meccanico, l’acqua del ramo secondario del fiume Oglio, detto Ogliolo, la cui depressione era attraversata da un lungo viadotto a 18 arcate che sosteneva il canale. Poco dopo un ponte obliquo permetteva al canale di sottopassare la strada nazionale del Tonale, per poi disporsi e proseguire sulla mezzacosta, parte scoperto (5.700 m c.) parte in galleria (2.500 m c.). Una seconda vasca di sedimentazione, munita di due scarichi di sfogo per le materie sabbiose che si depositavano per la diminuita velocità, era disposta in corrispondenza del Rio di Molbeno, poi attraversato con un ponte canale a due archi. Con un sottopassaggio obliquo il canale oltrepassava la Ferrovia Iseo-Edolo per poi valicare, con ponti canale ad arco ribassato, i contigui rio Lovaia e torrente Allione, la strada per Paisco Loveno e per ultimo il vallone di Pratovecchio fino a giungere alla vasca di carico.

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La Valle dell’Allione, per conformazione geologica particolarmente ricca di minerali ferrosi, ha conosciuto fin dall’antichità lo sfruttamento di tale risorsa che ha contribuito, fino ad un recente passato, al sostentamento della popolazione locale.
Per secoli il sistema economico si resse sull’estrazione e sulla fusione del minerale nei forni fusori di Loveno e Paisco, di cui si attesta la presenza nelle fonti scritte a partire dalla fine del Quattrocento. Divenuti di proprietà comunale nei primi decenni del Seicento venivano gestiti dalla collettività che ne percepiva i proventi derivanti dall’affittanza. Il ferro prodotto veniva in gran parte venduto nelle fucine della Valle Camonica.
Lo sviluppo economico e tecnologico che cominciò a delinearsi nell’Ottocento, le più intensive opere di sfruttamento e di regolazione delle pratiche di coltivazione mineraria, le evoluzioni politiche ed amministrative, segnarono progressivi mutamenti nelle consuetudini produttive. Si delineò una graduale estinzione delle attività fusorie comunali in concomitanza con l’avvio di una concentrazione delle attività estrattive, prima frammentate in numerose e piccolissime proprietà locali.
Furono le famiglie Simoncini-Panzerini di Cedegolo e Pietro Franzoni di Edolo che detenevano un gran numero di concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti nella media valle, a imprimere un’accelerazione in tal senso. A partire dal primo decennio dell’Ottocento, con la costruzione di un moderno forno fusorio a Forno Allione, il minerale estratto nella Valle dell’Allione, come il carbone di legna prodotto, andava sempre più ad alimentare il forno nuovo costruito all’imbocco della valle.
Un ulteriore processo di concentrazione e sviluppo in senso moderno dell’attività si ebbe con l’affermarsi nel panorama siderurgico camuno della famiglia Gregorini proprietaria di numerose officine per la lavorazione del ferro nel territorio di Vezza. A partire dalla presa in affitto del forno fusorio di Paisco e poi dalle acquisizioni dei beni delle famiglie Franzoni e Panzerini (in particolare il forno fusorio dell’Allione e la proprietà di boschi e miniere), Giovanni Andrea Gregorini guiderà via via la definitiva transizione dalle forme più tradizionali di produzione siderurgica a quelle tipiche dello sviluppo industriale, in un progetto di espansione verticale dell’attività che aveva il suo fulcro nel moderno stabilimento di Castro di Lovere (Bg) sorto nella seconda metà degli anni Cinquanta del XIX sec. Questo si tradusse in un progressivo spegnimento degli antichi forni fusori e in una più razionale opera di coltivazione mineraria con la concentrazione delle concessioni, migliori metodi di ricerca, produzione e trasporto dei minerali attuati con l’ausilio di compendi meccanici.
Nel primo decennio del Novecento allo sfruttamento delle risorse minerarie si aggiunse quello delle acque captate e derivate per la produzione di energia idroelettrica che, unita alla vicende belliche, garantì nuovo impulso alle attività siderurgiche. Nel 1917 la “Società Alti forni, Fonderie, Acciaierie Franchi-Gregorini” riattivò il complesso produttivo di Forno Allione costruendo una moderna acciaieria e le centrali idroelettriche di Forno e di Paisco. Quest’ultima, in funzione dal 1924, utilizza un bacino imbrifero di circa 20 Kmq. Oltre alle due prese principali sul torrente Sellero e l’allacciamento al torrente Vivione vennero captate le acque dei torrenti: Valle Largone, dei Molini, di Scala.
L’acquisizione da parte dell’ILVA della società Franchi-Gregorini (e la dismissione nel 1931 dell’acciaieria di Forno Allione), segnò il passaggio di proprietà anche delle miniere, poi   sotto il controllo della “Mineraria Siderurgica Ferromin” (gruppo IRI-Finsider entro il quale era stata assorbita l’ILVA).
Alla crisi che caratterizzò il Primo dopoguerra seguì una ripresa dell’attività mineraria di ricerca e coltivazione, favorita dalla spinta della politica autarchica e dalla mobilitazione industriale per la produzione bellica. Nel Secondo dopoguerra  la mancanza di una convenienza economica, data l’esiguità dei giacimenti, la deficienza degli impianti e l’ubicazione sfavorevole, fece optare per  la rinuncia della concessione di gran parte dei siti minerari con lo smantellamento delle attrezzature e degli impianti. Si avviarono però operazioni di ricerca. A fruttare nella seconda metà del Novecento la coltivazione della barite, ultima attività mineraria della Valle dell’Allione.
Dell’importante passato minerario rimangono i profondi segni, più o meno visibili, impressi sul paesaggio mutato a seguito dell’attività estrattiva. Le gallerie, le discariche di materiale, ciò che rimane degli impianti e delle strutture di servizio costituiscono un patrimonio storico e culturale che testimonia un lunghissimo capitolo della storia economica e sociale del territorio.

Contatti
Consorzio Forestale Minerario Valle Allione
www.consorzioallione.it
e-mail: consorzioallione@tiscali.it
tel. 0364.636160

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L’area di confluenza tra il fiume Allione e il fiume Oglio è stata interessata da una rilevante storia proto-industriale. La posizione di raccordo tra la valle laterale di Paisco, ricca di metalli ferrosi, e la principale via di comunicazione della Valle Camonica, unita alla disponibilità di manodopera e di risorse idriche, seppero catalizzare l’imprenditoria mineraria e siderurgica locale. Con il favore della politica napoleonica, nel 1808 entrò in funzione un moderno forno fusorio costruito dai fratelli Simoncini di Cedegolo e da Pietro Franzoni di Edolo. Ad alimentare il “forno nuovo” il carbone di legna e il minerale ferroso provenienti dai boschi e dalle miniere del circondario, e le acque dell’Allione. Dopo circa un trentennio il forno venne rilevato da Giovanni Andrea Gregorini, l’imprenditore originario di Vezza d’Oglio e artefice dello sviluppo siderurgico di Lovere. La qualità delle ghise realizzate a Forno Allione (utilizzate principalmente per le produzioni militari), l’inserimento in una struttura produttiva integrata verticalmente (dall’estrazione del minerale alla trasformazione delle ghise), permisero al forno dell’Allione di mantenere, più a lungo dei restanti forni della Valle, una discreta attività. Lo sviluppo tecnologico e industriale che conobbe il settore metallurgico sancì infatti, nell’ultimo ventennio del XIX secolo, il definitivo tramonto delle realtà produttive con connotati proto e micro-industriali e nel 1902 anche il Forno fusorio dell’Allione si spense.
Sull’onda delle richieste e delle garanzie offerte dalle commesse militari con lo scoppio della guerra in Europa, la “Società anonima alti forni, fonderie, acciaierie e ferriere Franchi-Gregorini”, nata nel 1916 dalla fusione della Franchi-Griffin di Brescia e della Gregorini di Lovere, riaccese i fuochi dell’attività siderurgica di Forno Allione. Nel 1917 si eresse una moderna acciaieria e si avviò la costruzione di due centrali idroelettriche: una a Forno (collaudata all’inizio del 1921) e una Paisco (nel 1924). Nel dopoguerra, il crollo della domanda di acciaio e la conseguente crisi del settore portarono la società allo scorporo del ramo idroelettrico dell’industria con la costituzione della “Società idroelettrica dell’Allione” (poi “Società Generale elettrica Cisalpina”, poi “Edison”). Nel 1930 la  “Franchi-Gregorini” venne rilevata dall’ “Ilva Alti Forni e Acciaierie d’Italia” che trasferì a Lovere gli impianti di Forno Allione decretando la chiusura dello stabilimento.
Al tramonto dell’industria siderurgica corrispose l’ascesa di una nuova realtà produttiva, ad opera di Attilio Franchi, che ridiede impulso all’attività industriale della zona. Nel 1928, dato il minor costo dell’energia elettrica, decise di trasferire a Forno Allione la produzione di elettrodi grafitati, cominciata qualche anno prima a Marone, con l’obiettivo di concorrere sul mercato nazionale dominato da prodotti di importazione. Gli elettrodi di grafite artificiale, un’ innovazione fondamentale per lo sviluppo dell’industria siderurgica, erano impiegati nei forni elettrici ad arco quali conduttori di corrente.
Gli impianti della “Società Anonima Elettrografite di Forno Allione” (EFA) vennero edificati nell’area compresa tra la sinistra orografica (nord) del fiume Allione e il fiume Oglio, nel comune di Malonno. Nonostante gli sforzi, i problemi tecnico-produttivi non riuscivano a rendere sufficientemente competitivo il prodotto realizzato a Forno Allione.  Dopo solo un biennio di esercizio nel 1931, la multinazionale statunitense “Acheson Graphite Corporation”, specialista nella produzione degli elettrodi grafitati, acquisì la proprietà dell’azienda. Eliminato un possibile concorrente la Acheson seppe garantire, grazie alla migliore metodologia produttiva (brevetto e know-how) e alle ingenti disponibilità finanziarie, lo sviluppo dello stabilimento segnato dalle condizioni dettate prima dalla politica autarchica e dalla guerra e poi dalla ricostruzione. Gli ampliamenti strutturali, gli ammodernamenti impiantistici, l’introduzione di nuove specialità produttive, l’aumento della produttività delle maestranze, seppero garantire all’azienda, dal 1966 divenuta “Union Carbide Italia s.p.a” (UCI), l’attività e la competitività dello stabilimento di Forno Allione fino alla crisi siderurgica degli anni Ottanta. La crisi decretò la posizione marginale dello stabilimento nei piani aziendali della multinazionale e l’avvio di una lenta  smobilitazione produttiva che si concluse nel 1994 con la chiusura della fabbrica divenuta,  negli ultimi anni, “Ucar Carbon Italia”.
Oltre le ripercussioni occupazionali, eredità del passato industriale, rimangono i danni alla salute dei lavoratori e l’inquinamento ambientale derivante dalle lavorazioni industriali. Dopo le bonifiche della seconda metà degli anni Novanta e il successivo stanziarsi, nell’area, di nuove realtà produttive, la questione ambientale si è riproposta drammaticamente. Nel 2003 si diede avvio ad un piano di indagine conoscitiva che ha constatato la pericolosità di una discarica della Ucar stralciata dal precedente piano di bonifica e ora messa in sicurezza. Nel 2010, con il fallimento della “Selca s.p.a”, specializzata nello smaltimento degli scarti, altamente pericolosi, delle lavorazioni siderurgiche e la mancata bonifica del sito, il problema dell’inquinamento e del risanamento ambientale si è riproposto gravemente.

Scopri i percorsi per raggiungere i beni

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Percorso “Da-a”
Sellero – Cedegolo, Cedegolo – Sellero

Il percorso “Da a” prende il nome dalla sua peculiarità d’essere “via di collegamento” tra i due territori comunali coinvolti. Esso connette Sellero a Cedegolo permettendo di fare a piedi il tragitto che separa Centro 3T dal Musil Museo dell’Energia Idroelettrica.  Lungo il percorso è possibile avvistare una serie di località e strutture di interesse strategico per il sistema idroelettrico e minerario (come le miniere di Carona, la vasca di accumulo e le condotte forzate dell’impianto di San Fiorano). L’itinerario accompagna nella scoperta di beni storico-archittettonici;  nel centro storico del comune di Sellero sarà possibile vedere la ruota idraulica dell’antico mulino sul torrente Re, la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta e la chiesa di san Desiderio; nella frazione Novelle si incontra invece la chiesetta sussidiaria di Santa Barbara con il monumento dedicato ai minatori e il parco tematico della vasca di carico SEB. Nel comune di Cedegolo, oltre al Musil, si potranno notare i palazzi storici dell’abitato.
L’inserimento di tale percorso ha pertanto un doppio obiettivo: facilitare i trasporti sul territorio coniugando l’approfondimento di tematiche storiche e tecniche ad attività escursionistiche; promuovere, prima di tutto presso gli abitanti, soluzioni di mobilità sostenibile a piedi o in bicicletta quali occasioni di conoscenza e consapevolezza territoriale.
Percorribile in 4-5 ore, ha come punto di partenza o arrivo le visite del centro 3T e del Musil di Cedegolo. IlIl percorso può essere intrapreso autonomamente dai turisti. La vicinanza dei siti alle stazioni ferroviarie di Sellero e Cedegolo  rende agevole l’utilizzo del treno (linea Brescia-Edolo): è possibile prenotare la fermata presso la stazione di Sellero e usufruire della stazione di Cedegolo per il ritorno.

I beni fruibili lungo il percorso:

– Centro 3T , ex fornaci da calce di Sellero;

– ruota idraulica mulino sul torrente Re “Via Camadini” restaurato nel 2019;

– centro storico di Sellero con chiesa parrocchiale e chiesa di San Desiderio;

– parco tematico Vasca SEB località Ruc;

- Musil Museo dell’Energia Idroelettrica;

– palazzo storico “Casa Panzerini” sede della biblioteca comunale di Cedegolo;

– chiesetta sussidiaria di Santa Barbara dedicata ai minatori.

Grado difficoltà: facile (70% su pista ciclabile).
Distanza
: andata e ritorno km 8
Scarica la tracciatura in GPS di “Da-a”

Valcamonica MTB percorso facile archeologia industriale

Percorso “.ne .na”
Sellero – Carpene – Carona – Cedegolo

Il secondo percorso permette il raggiungimento del sito minerario di Carona avendo quale punto di partenza il Centro 3t di Sellero e come punto di arrivo il Musil di Cedegolo. Alle tappe intermedie descritte nel percorso “Da-a” si aggiungono il parco comunale Carpene di Sellero con le incisioni rupestri che risalgono al II – I secolo a.C. (la grande roccia di Carpene, con oltre 700 istoriazioni e l’incisione del “grande idolo”), la miniera “Barnil” e il castagneto secolare in località Isù. Il percorso permette quindi di addentrarsi nella complessità e nella stratificazione del patrimonio storico e paesaggistico del territorio e di connettere le profonde relazioni tra risorse e saperi locali e sviluppo produttivo e industriale che caratterizzano il filo conduttore di SIM. 
L’attività estrattiva diviene il punto di partenza per comprendere il processo industriale di trasformazione delle risorse. L’acquisizione e lo sviluppo di capacità tecniche e lavorative hanno fatto dei minatori della Valle personale altamente specializzato, impiegato poi negli scavi necessari alla creazione degli impianti idroelettrici (gallerie, canali e centrali sotterranee).
L’itinerario è percorribile a piedi nell’arco di una giornata. Con l’allestimento delle strutture presenti nel sito minerario di Carona, sarà possibile anche il pernottamento in loco.
Il percorso è pedonale.

I beni fruibili lungo il percorso:

– Centro 3T , ex fornaci da calce di Sellero;

– ruota idraulica mulino sul torrente Re “Via Camadini” restaurato nel 2019;

– centro storico di Sellero con chiesa parrocchiale e chiesa di San Desiderio;

– parco archeologico Carpene.

Grado di difficoltà: medio, consigliato con guida.

Distanza: andata e ritorno km 15.
Scarica la tracciatura in GPS del percorso “Ne.Na”

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Sellero – Forno Allione – Paisco

Il terzo itinerario mette in collegamento i siti di Sellero e Cedegolo alla Valle Allione e all’abitato di Paisco sede del Consorzio Forestale Minerario Valle Allione. Il percorso nel primo tratto non presenta difficoltà tecniche, si snoda lungo un piacevole tratto di Via Valeriana offrendo una passeggiata percorribile da tutta la famiglia in un’ora e mezza; oltre a beni archeologici si incontra il centro faunistico. Da Forno Allione fino a Paisco è invece consigliato l’accompagnamento di una guida, eccetto per camminatori esperti attrezzati. 
In questo percorso la storia del patrimonio industriale viene approfondita con la visione del tracciato di canalizzazione della Seb e con la tappa nella zona industriale di Forno Allione. 
La vista dei tratti di canalizzazione permette di comprendere meglio la complessità del sistema di derivazione delle acque, provenienti da Malonno, e del funzionamento della vasca di carico e della centrale SEB (oggi sede del Musil Museo dell’Energia Idroelettrica di Cedegolo). 
Un altro storico impianto idroelettrico presente lungo il percorso, in funzione dal secondo decennio del Novecento e recentemente potenziato, è quello che si incontra a Forno d’Allione. Se gli impianti rispondono oggi alle più moderne tecnologie, l’edificio della centrale ristrutturato testimonia e conserva la fisionomia originaria. 
Profondamente legato alla disponibilità dell’energia idroelettrica fu lo sviluppo della produzione degli elettrodi di grafite che interessò Forno Allione, con ripercussioni occupazionali sull’intera Valle Camonica, dal 1929 al 1994 quando la società statunitense Union Carbide chiuse la fabbrica. 
La tappa nella zona industriale di Forno d’Allione permette quindi di vedere i reperti che ancora testimoniano l’importante passato industriale della zona e comprendere i nuovi assetti seguiti alla dismissione del sito produttivo.
Da qui il raggiungimento di Paisco attraverso un tratto del Sentiero della Castagna e la possibilità di addentrarsi nella storia mineraria della Valle d’Allione, fin dall’antichità strettamente legata allo sfruttamento dei giacimenti di ferro, attraverso la scoperta dei segni che tali attività hanno lasciato nel territorio. 
All’osservazione delle tracce lasciate dalle attività produttive si somma il ricco patrimonio naturalistico valorizzato e tutelato dal centro di educazione ambientale e dai progetti didattici e ambientali avviati nel corso degli anni da Consorzio Forestale Minerario Valle Allione, quali il castagneto didattico, il mirtilleto sperimentale e il giardino botanico Vivione con oltre 250 specie e la ricostruzione di un torbiera d’alta quota. 
Da Paisco partono i Sentieri dei Minatori con i quali raggiungere i principali siti minerari mappati dal Consorzio stesso. 
Per chi volesse  trascorrere la notte, su prenotazione, il Consorzio dispone di una Foresteria attrezzata.

Il percorso è: 

– pedonale con grado di difficoltà medio, consigliato con guida;

– ciclabile con grado di difficoltà alto, consigliato con guida.
Distanza: andata km 12.
Scarica la tracciatura GPS del percoso .no.co

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Sellero – San Fiorano – Grevo – Cedegolo 

Il tratto di percorso che congiunge Sellero a Cedegolo ricalca parte del percorso Da-a; “ 2 angeli” si allunga poi sul versante est della valle permettendo di incontrare alcune strutture degli impianti idroelettrici che il primo percorso mostra da lontano. 
Così se dal versante Ovest, sui percorsi “Da a” e “Ne Na”, è più facile avere una visione d’insieme del funzionamento del sistema di derivazione, attraverso “2 angeli” si possono vedere da vicino le condotte forzate che conducono l’acqua alle centrali Enel Cedegolo I e Edison Cedegolo II e parte dell’impianto Enel San Fiorano (il ponte che porta alla galleria d’accesso alla sala macchine in  caverna, la vasca di accumulo, la centrale elettrica esterna a 380.000 V). 
Con gli impianti Cedegolo I e Isola costruiti nel 1907-1909 prese avvio il “sistema del Poglia” di cui la centrale di di S.Fiorano, costruita alla fine degli anni Sessanta, costituisce l’ultima tappa di un progetto di espansione lungo sessant’anni che ha visto la costruzione di un imponente sistema di dighe, invasi e derivazioni per lo sfruttamento sistematico delle acque del bacino imbrifero del Poglia (Valli Adamè, Salarno, Arno). 
La costruzione dell’impianto di generazione e pompaggio di San Fiorano decretò la dismissione dell’impianto di Isola alimentato esclusivamente dalle acque del lago d’Arno, il più grande dell’Adamello, ora convogliate direttamente all’impianto di Sellero. 
La centrale di Isola si presenta oggi come un interessante caso di archeologia industriale immersa in un piccolo borgo disabitato di grande suggestione. 
La centrale di Cedegolo II, entrata in funzione nel 1950, deriva le acque direttamente dall’Oglio tramite il canale Sonico-Cedegolo la cui costruzione sottese la centrale della Seb, oggi sede del MusIL e completò, aggiungendosi al tratto Cedegolo-Cividate, lo sfruttamento delle acque residue dei due grandi sistemi idroelettrici della Valle, Poglia e Avio. 
Giunti nell’abitato di Cedegolo “2 angeli” percorre un tratto della Passeggiata dell’acqua, camminamento panoramico sospeso a lato del fiume Oglio attraverso il quale si raggiunge il Musil Museo dell’energia idroelettrica di Cedegolo, per poi affrontare la risalita alla Vasca e il percorso già descritto in Da- a. Merita d’essere citato l’incontro di un bene di interesse minerario: l’imbocco di una piccola miniera di quarzo in località Barnil. 
Riassumendo questo ricco percorso, sul suo tracciato si incontrano l’impianto idroelettrico di San Fiorano, parte del canale Edison (Cedegolo_Cividate), la Chiesa di S.Fiorano, le condotte forzate  di Cedegolo I (Enel) e Cedegolo II (Edison), l’abitato di Grevo, il centro storico di Cedegolo con il ponte sul Torrente Poglia, la “Passeggiata dell’acqua” e l’Ex centrale SEB oggi Musil Museo dell’Energia Idroelettrica; giunti su territorio sellerese si incontreranno l’ex Vasca Seb oggi parco tematico, la miniera Barnil e si attraverserà il centro storico del paese per concludere il tragitto all’ex impianto Sefe oggi Centro 3T. 

Il percorso è ciclabile tranne lungo la “Passeggiata dell’acqua” e nel tratto che separa il Museo MusIL dal parco tematico Ex Vasca Seb, in cui la bicicletta va portata a mano.

Difficoltà: media.
Distanza: km 11.

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Questo invece è un percorso da fare con un “mezzo” diverso, non più a piedi o in MTB ma bensì in treno, lungo una delle tratte più panoramiche d’Europa: Brescia/Edolo. Paesaggisticamente mozzafiato, storicamente fondamentale per la storia industriale dell’Italia.

Brescia – Cedegolo

La costruzione della ferrovia è stata fattore fondante per lo sviluppo industriale permettendo il trasporto delle materie prime e delle merci. Il tracciato ferroviario, lungo il quale sorsero i siti produttivi, può diventare quindi punto di osservazione privilegiato e unico per scoprire la storia del patrimonio produttivo e infrastrutturale della provincia. 
La ricchezza di reperti d’archeologia industriale ed aziende più o meno storiche ancora in funzione, consente infatti di trasformare il viaggio in una vera e propria visita guidata. Una visita guidata particolarmente interessante in quanto premette di visualizzare la complessità e le specificità della storia produttiva dei territori, di mettere in connessione l’industrializzazione camuna con il fenomeno più ampio delle lavorazioni e dei processi industriali provinciali, regionali e pertanto di rilevanza nazionale, comprendendo cioè come le lavorazioni svolte in Valle avessero destinazioni e scopi che trascendono la contingenza territoriale.
Così se la geografia della distribuzione dell’elettricità prodotta dall’industria idroelettrica valligiana trova esaustiva illustrazione nel sistema di tralicci e cavi che ne hanno fatto un fattore decisivo dello sviluppo industriale nazionale, la ferrovia rappresentò quella possibilità di trasporto senza la quale molte attività produttive non avrebbero potuto installarsi o svilupparsi e lungo il cui percorso restano testimoni della storia che hanno scritto nel territorio.
All’osservazione dei siti produttivi visibili lungo il percorso si sommano le opere della stessa infrastruttura ferroviaria: gallerie, ponti, stazioni, impianti e strutture di servizio, a pieno titolo parte del patrimonio industriale.
Il primo tracciato della linea Brescia-Iseo entrò in funzione nel 1885. Il percorso, partendo dalla stazione di Brescia, attraversa la Brescia industriale del Comparto Milano per poi via via addentrarsi nel paesaggio agrario della Franciacorta.
Il prolungamento della linea avvenne invece nel primo decennio del Novecento quando il progetto della ferrovia Iseo-Edolo, dopo più di un trentennio di discussioni e proposte, fu affidato all’Ingegner Luigi Conti Vecchi. Dopo due anni dall’avvio dei lavori, nel corso del 1907 furono ultimati i tratti Iseo-Pisogne e Pisogne-Breno mentre il completamento della linea fino a Edolo fu inaugurato nel 1909.
Da Iseo a Pisogne il tracciato costeggia il Lago d’Iseo con le tipicità del paesaggio lacustre delle attività colturali e turistiche nonché alcuni impianti produttivi storici a ridosso della ferrovia. Superato Pisogne il tracciato risale la Valle Camonica dove l’ industrializzazione, soprattutto siderurgica e idroelettrica, ha profondamente segnato il territorio.
Sebbene la costruzione della ferrovia camuna contribuì tra l’altro allo sviluppo dell’industria idroelettrica, permettendo la costruzione degli impianti per lo sfruttamento delle risorse idriche dell’Adamello che determinarono un’enorme disponibilità di energia elettrica, la linea ferroviaria non fu mai elettrificata rimanendo un simbolo delle contraddizioni che lo sviluppo dell’industria idroelettrica ebbe sul territorio.
Nelle prossime pagine una galleria fotografica, in ordine di percorrenza, da Brescia a Forno Allione, di documentazione delle industrie da citarsi in questa visita guidata ideata e studiata per S.I.M. dall’associazione P.I.R. Post Industriale Ruralità.
Negli ultimi anni la tratta viene percorsa da treni panoramici, con ampie vetrate, che consentono di godere appieno del paesaggio e di individuare più facilmente i beni che la visita segnala. Prossimamente sul sito internet di S.I.M. sarà possibile scaricare un documento che consentirà all’utente un’autoguida lungo la tratta ma se preferirete farvi accompagnare da una guida specializzata sarà possibile contattando la segreteria organizzativa.

Tempo percorrenza: 1 h 45 min

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Newsletter

In questa sezione potete scaricare in pdf le newsletter. Crediamo abbia senso riproporle perchè vi sono materiali stampabili di orientering sul territorio, la sintesi delle video interviste che potete fruire ancora oggi presso la nostra sede, i lavori fatti negli edifici, i progetti eco-sostenibili avviati durante il progetto… come l’orto verticale e la programmazione espositiva. Di numero in numero scoprite l’avventura di un percorso durato tre anni, che ci ha visto esplorare con passione il territorio e le sue potenzialità! Buona lettura.

Le interviste

Pietro Troncatti –  Vai ai video

Nella metà degli anni Cinquanta il padre di Pietro Troncatti acquista una porzione di terreno in località Ciucchi a Ono San Pietro e insieme ad un socio di Cimbergo avvia un’attività per l’estrazione del calcare. Date le difficoltà tecniche e la scarsità dei mezzi l’attività non decolla. Sarà il figlio, precursore nella zona di automezzi per il trasporto e la movimentazione, a credere nella possibilità di far rendere l’attività. Sebbene per pochi anni, Pietro Troncatti cavò grandi quantità di calcare che vendette alla SEFE di Sellero con la quale nel 1965 giunse alla stipula di un contratto triennale per la gestione delle fornaci da calce. Un’impresa che con dispiacere e rammarico terminò, con un anno di anticipo, per la chiusura dell’azienda. Oltre alle vicende legate al calcare e alla SEFE di Sellero, con grande fervore e una marcata espressività Troncatti racconta delle numerose “imprese” che hanno segnato la sua lunga vita di lavoratore. Imprese cadenzate dai diversi “mezzi”, ritratti in numerose fotografie, che lo hanno accompagnato fedelmente nelle sue attività, sempre legate al territorio e alle sue risorse. Quei “mezzi” e quella tecnologia meccanica che più volte emergono in contrapposizione alla paralisi e inefficienza delle pratiche tradizionali e manuali rappresentate dal mondo contadino e rurale del padre. Un “piccolo imprenditore con grande coraggio” come si definisce, Roccia come lo chiamano, offre uno spaccato interessante di una figura professionale e imprenditoriale poco conosciuta che si rapporta, offrendo il suo lavoro, anche alle grande aziende del territorio: la SEFE di Sellero, la Società Mineraria Baritina, la “Gessi”.. Compagna di vita e sostenitrice, nel bene e nel male, delle sue “avventure”, la moglie Pierina Pessognelli, lo supporta anche nell’intervista contribuendo a definire gli spazi temporali e collocare gli avvenimenti. La testimonianza di Pietro Troncatti è proposta in quattro video-interviste, registrate presso la sua abitazione a Ono San Pietro, e in un sopralluogo alla cava Ciucchi. Poiché il parlato è nel dialetto locale è possibile consultare le versioni con sottotitoli in italiano.

Il sistema è stato promosso da un progetto nel 2013 da una cordata di enti, quali Fondazione Musil, Comune di Cedegolo, Comune di Sellero, Consorzio Forestale Valle Allione e sostenuto da Fondazione Cariplo. Ass. P.I.R. ha realizzato  le ricerche storiche e i testi (di Silvia Mondolo), grafica e fotografie di cartellonistica e allestimenti stereoscopici (Francesca Conchieri), la tracciatura e mappatura dei percorsi (di Daniela Poetini)  che qui trovate.

Celestino Angeli – Vai al video

Celestino Angeli racconta insieme alla zia Innocenza Rizza dell’ultima attività mineraria della Valle dell’Allione: la miniera di barite denominata “Monte Elto” della Società Mineraria Baritina. Grazie allo zio Giordano Damisella, che vi ha lavorato fino alla pensione e alla chiusura della miniera nella metà degli anni Novanta, anche Celestino nel 1987, appena diciottenne, ha vissuto per una stagione l’esperienza nel cantiere minerario posto sulle pendici di Pizzo Garzeto a oltre 1800 metri di quota. Ad aiutarci nel racconto la preziosa e suggestiva testimonianza delle riprese video, girate nell’agosto del 1995, che mostrano il cantiere e i lavoratori in attività, in questa fase ormai limitata al solo carreggio del materiale poi trasportato fino a Paisco tramite teleferica. La barite veniva poi portata a Darzo (Trento) dove la società, della famiglia Corna Pellegrini, aveva avviato l’attività estrattiva con la miniera Marigòle e impiantato uno stabilimento per il trattamento del minerale. A Darzo e in altre località dove la ditta aveva aperto dello miniere, venivano occupati i dipendenti che nella stagione invernale abbandonavano il cantiere della Valle Allione. Celestino Angeli attraverso la sua personale esperienza descrive e mostra il cantiere inerpicato sul monte, racconta come si svolgeva il lavoro, quali furono i cambiamenti intercorsi nelle tecniche di escavazione e di trasporto del materiale. Nella narrazione emergono grande passione e conoscenza delle proprie montagne e delle loro risorse, grande affetto, stima e orgoglio per le competenze e la dedizione al lavoro dei minatori e dello zio ormai scomparso. Alla più recente attività della coltivazione della barite si aggiunge il racconto dell’estrazione, caratteristica del paese di Pescarzo, dell’ardesia e alcune immagini della rapida discesa in una galleria dismessa. La testimonianza, proposta in un video, è stata raccolta in un’intervista realizzata a Pescarzo presso la casa di Innocenza Rizzi.

Andrea Boniotti – Vai ai video 

La testimonianza di Andrea Boniotti ci offre sia il racconto dell’esperienza vissuta dal padre alla SEFE di Sellero a partire dal Secondo dopoguerra, sia la personale carriera lavorativa all’ Elettrografite di Forno Allione (poi Union Carbide). Dall’assunzione nel 1956 al pensionamento nel 1987, la narrazione delinea inoltre gli aspetti tecnico-produttivi, i cambiamenti impiantistici e la complessità del funzionamento di un enorme stabilimento produttivo. Alle tematiche strettamente legate alle attività lavorative si aggiungono parentesi di vita che illustrano il contesto sociale, culturale ed economico entro il quale si svolgono ed evolvono, e che permettono di approfondire e comprendere a pieno la storia di vita che ci viene restituita. La testimonianza è proposta in sette video-interviste, in cui si ripercorrono le esperienze sopracitate, e in due sopralluoghi. Andrea Boniotti ci accompagna e ci descrive i luoghi del lavoro: le fornaci della SEFE oggi Centro 3T e l’area industriale di Forno Allione, approfondendo in particolare le questioni tecnico-produttive e prendendo effettiva visione degli spazi e delle strutture dove si svolgevano le attività industriali.

I sopralluoghi – Vai ai video

A partire dai personali ricordi della SEFE legati all’esperienza lavorativa del padre, Andrea Boniotti ci mostra l’impianto di produzione della calce ricostruendone le fasi di lavoro. 00:13 – Il guardiano 03:54 – Calce idrata 05:06 – Prelievo e movimentazione della calce 06:32 – Il piano di scarico 08:17 – I silos delle materie prime 09:27 – I montacarichi 10:30 – La stazione di arrivo della teleferica 12:58 – Il piano di carico 15:33 – Il carico di avvio della stagione produttiva

Pietro Troncatti invece ci accompagna in località Ciucchi e ci mostra la cava ormai dismessa: il “buco” nella montagna, la discarica e i silos di raccolta del calcare.

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